invio di fax pubblicitario senza consenso? C'è il danno morale

  • 03-04-2013
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invio di fax pubblicitario senza consenso? C'è il danno moraleIl Tribunale di Brescia, Sezione Prima Civile, con la sentenza 4 marzo 2013 r...

invio di fax pubblicitario senza consenso? C'è il danno morale

Il Tribunale di Brescia, Sezione Prima Civile, con la sentenza 4 marzo 2013 riprende una tematica molto delicata, che da tempo viene affrontata nelle aule giudiziarie, anche se con maggiore frequenza avuto riferimento all'uso illegittimo della posta elettronica (spamming) più che all'uso del fax, come nel caso di specie. In entrambi i casi, comunque, ci troviamo di fronte a dei sistemi automatizzati che rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 130 del Codice per la protezione dei dati personali.

Nel caso di specie l'attrice chiede la condanna della società di telefonia Wind Telecomunicazioni S.p.a. al risarcimento del danno patrimoniale e morale conseguente all'illecito trattamento dei propri dati personali in quanto, nonostante l'espressa richiesta di cessazione, la società ha continuato ad inviare a mezzo fax materiale pubblicitario all'utenza del suo studio professionale.

Il giudice considera convincenti le ragioni dell'attrice rigettando la "debole" difesa, per la verità, della convenuta che, al di là di eccezioni di carattere procedurale, sostiene nel merito che la parte attrice aveva espressamente autorizzato l'invio di materiale commerciale con riguardo ad una vecchia linea residenziale poi cessata, per cui tale autorizzazione doveva ritenersi estesa anche alla linea per cui è stata intentata causa, ai sensi dell'articolo 130, punto 4, del decreto legislativo 196/2003.

In realtà, come giustamente sostenuto dal tribunale, l'art. 130 del codice per la protezione dei dati personali sostiene che l'uso di sistemi automatizzati di chiamata o di comunicazione di chiamata senza l'intervento di un operatore per l'invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale è ammesso con il consenso del contraente o utente che tra l'altro può sempre revocare tale consenso. Nel caso di specie, poi , inequivocabile è la raccomandata della parte attrice con la quale si diffidava formalmente la convenuta dall'invio di materiale pubblicitario a mezzo fax. Tale circostanza rende, quindi, inutile il ricorso al comma 4 dell'art. 130 da parte della convenuta.

Alla luce di tali considerazioni il tribunale condanna la wind al risarcimento, oltre che del danno patrimoniale, anche del danno morale ai sensi dell'art. 15 del Codice privacy e dell'art. 1226 c.c., in considerazione del particolare patimento e disagio conseguente al continuo invio di fax da parte di Wind anche successivamente alla diffida e persino in corso di causa. Danno che viene quantificato in 5000,00 euro comprensivi del danno emergente costituito dal costo del toner e della carta.

Si ricorda che l'art. 15 del codice prende spunto dall'art. 23 della Direttiva 95/46/CE il quale sancisce che "Gli Stati membri dispongono che chiunque subisca un danno cagionato da un trattamento illecito o da qualsiasi altro atto incompatibile con le disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva abbia il diritto di ottenere il risarcimento del pregiudizio subito dal responsabile del trattamento". Inoltre specifica al 2° comma che "il responsabile del trattamento può essere esonerato in tutto o in parte da tale responsabilità se prova che l'evento dannoso non gli è imputabile".

In base a quanto prescritto dall'art. 15 chi ritiene di essere stato leso a seguito dell'attività di trattamento dei dati personali che lo riguardano può ottenere il risarcimento dei danni senza dover provare la "colpa" del titolare che ha trattato i suoi dati. Resta ovviamente a carico dell'interessato l'onere di provare eventuali danni derivanti dal trattamento dei dati.

Tanto in sede comunitaria quanto in quella nazionale, è stato ben chiaro che i rischi maggiori sono connessi all'uso "tecnologico" dei dati, ma, valutato che l'angolo visuale è, in ultima analisi, il valore della riservatezza e dei diritti della personalità, è prevalsa la posizione che la tutela della privacy debba estendersi a tutte le specie di dati personali.

Il 2° comma di dell'art. 15 apre, poi, la strada al riconoscimento del danno non patrimoniale che come ben sappiamo viene diversamente inteso in dottrina. Difatti secondo taluni essa viene a coincidere con la sofferenza psico-fisica del soggetto e meglio vi si attaglia la definizione di danno morale (SCOGNAMIGLIO), ma non manca chi tende a circoscrivere nell'area del danno morale i pregiudizi non suscettibili di valutazione economica mediante criteri obiettivi (BUSNELLI). Non bisogna dimenticare, inoltre, un altro indirizzo dottrinale che determina, in negativo, la figura del danno non patrimoniale, facendola coincidere con una serie di fenomeni eterogenei accomunati dalla non patrimonialità dell'interesse leso o dalla non valutabilità in denaro della lesione (DE CUPIS).

È plausibile, comunque, affermare che tale disposizione finisce per contenere una sorta di principio di "indemnisation integrale del danno non patrimoniale da trattamento dei dati personali". Invero, è difficile scorgere una fattispecie che resti fuori dalla previsione dell'art. 11 e, dunque, non rilevi, ai fini riparatori, come violazione di detto articolo.

(Altalex, 12 marzo 2013. Nota di Michele Iaselli)